domenica 27 dicembre 2015

QUESTIONE D'IDENTITA' - ANALISI SULL'ODIERNA SOCIETA' TURCA

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C. Costanzo, La Costruzione dell’identità turca tra secolarismo e islamismo, in Turchia: un attore mediterraneo ed internazionale a cura di L. Mercuri, Alpes, Roma, 2011, pp.1-8.


La Costruzione dell’identità turca tra secolarismo e islamismo
Di CHIARA COSTANZO
in
Turchia: un attore mediterraneo ed internazionale a cura di L. Mercuri, Alpes, Roma, 2011, pp.1-8.


  • Composizione etnica della Turchia
  • Panorama sociale della Turchia Ottomana
  • Costruzione di una nuova identità nazionale
  • L’identità secolare occidentalista
  • L’identità islamica
  • L’identità femminile turca
  • La società turca contemporanea
  • Bibliografia


  1. Composizione etnica della Turchia

La Turchia ha da sempre rappresentato un mosaico di diverse etnie. Nella vastità dell’Impero Ottomano, il popolo turco, di origine asiatica, veniva considerato alla stregua degli altri gruppi musulmani presenti sul territorio come arabi e persiani; le altre minoranze religiose presenti, come ad esempio quelle cristiane ed ebraiche, erano tollerate ed organizzate in comunità autonome dette millet. Oggi la popolazione, stimata attorno ai 77 milioni,1 è composta per il 70-75% dall’etnia turca, mentre per il 18% da quella curda e per il 7-12% da altre minoranze.2 Seguendo il rapporto dell’Azeri-Press Agency (APA)3 ne risulta la seguente composizione etnica:
  • Turchi (50 milioni): il gruppo etnico maggioritario; include Turkmeni, Pomacchi, Azeri, Tartari, Terekemi, Karacay, Yoruki, Taxtaci.4 
  • Curdi (12.6 milioni): popolo di etnia e lingua indoeuropee, di religione maggiormente musulmana, la cui partizione politica tra gli Stati di Siria, Iraq, Iran e Turchia ha sollecitato la nascita di movimenti nazionalisti curdi risoltisi in lotte per l’autonomia all’interno dei vari Stati. In Turchia sono stati duramente repressi, spesso nell’ambito di guerriglie o lotte armate contro il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan). Oggi i curdi sono presenti soprattutto nel sud-est del Paese e nelle città di Istanbul e Ankara, rappresentano la minoranza etnica più grande del Paese, tanto da essere considerati ancora come minaccia per l’unità nazionale.5
  • Bosniaci (2 milioni): presenti nell’area di Izmir, Adapazari e Manisa.
  • Albanesi (1.3 milioni).
  • Arabi (870 mila): concentrati nel sud-est anatolico e Istanbul.
  • Etnie caucasiche: Circassi (2.5 milioni) presenti soprattutto ad Adana, Lazi (80 mila) i quali vivono in alcuni villaggi nella regione di Riza e di Artvin.
  • Pomacchi (600 mila): i bulgari musulmani emigrati in Turchia.
  • Rom (700 mila).
  • Armeni (60 mila): residenti soprattutto intorno a Istanbul. Negli anni 20 se ne stimavano 150 mila.
  • Ebrei (20 mila): in declino a causa dell’emigrazione verso Israele.
  • Greci (15 mila): residenti ad Istanbul e nella regione della Tracia.
  • Hemshin (13 mila): raggruppati nei dintorni di Riza.


2. Panorama sociale della Turchia Ottomana
Durante la dominazione ottomana il panorama sociale si caratterizzava per uno spiccato multiculturalismo, mantenuto in equilibrio dalla scelta politica di lasciare autonome le diverse comunità etniche e religiose presenti. La cultura predominante era quella islamica, fondata su un insieme di tradizioni rurali e valori immutati da secoli, secondo i quali l'appartenenza alla tribù rappresentava il riferimento più importante. Le relazioni tra le diverse classi si basavano su un vincolo di fedeltà stabilito per mutuo consenso fra due parti, l’una più potente dell’altra, in una scala gerarchica che legava le élite.6 Nonostante le riforme moderniste attuate nel XIX secolo, le cosiddette tanzimat, la classe dirigente ottomana rimaneva ancorata alla supremazia islamica in un quadro di sostanziale conservazione7 finché non presero forma le prime cellule di opposizione secolarista le quali prepararono il terreno all’attuazione dl progetto nazionalista di Atatürk. L’influsso sempre più forte delle innovazioni culturali e istituzionali europee stavano innescando definitivamente l’esigenza di smantellare il sistema sociale autarchico conservato nel corso dei secoli in favore di una classe medio-borghese che avrebbe condotto allo sviluppo sociale ed economico.


3. Costruzione di una nuova identità nazionale

L’opera militare e politica di Atatürk mise in moto la trasformazione culturale e sociale necessaria per portare il paese a diventare una nazione moderna. Un tale progetto riformista prevedeva alla base la costruzione di una identità nazionale turca, indispensabile nello scenario eterogeneo di popoli e comunità su di un territorio minacciato da altri smembramenti. Mentre nel XIX secolo i cristiani dell’impero ottomano erano riusciti a fondare delle nazioni accorpando popolazioni con stessa tradizione religiosa (come Georgia, Serbia, Romania, Bulgaria e Montenegro) contrapponendo quindi la loro identità a quella islamica ottomana, i turchi avevano invece l’esigenza di districare il nazionalismo dall’intreccio tra Islam e impero ottomano.8 All’indomani dell’instaurazione della Repubblica, il popolo percepiva se stesso come un insieme di genti suddite del sultano ed era ancora lontano dal considerarsi come un unico gruppo etnico. Una prima coscienza di “popolo turco” iniziò a formarsi dal confronto con i rappresentanti dell’”altro” mondo culturale, ovvero quegli intellettuali europei che immigravano a Istanbul per studiare la cultura ottomana. La patria, il cosiddetto watan, si raffigurava con l’intero Impero Ottomano, o più idealmente con il “luogo dove prevale la Sharia”, la legge islamica.9 In questo variegato panorama ideologico, Atatürk promosse ed incoraggiò l’ideale della patria turca diffondendo una teoria storica la quale, riproponendo il passato turco pre-islamico, stabiliva che “i turchi sono un popolo bianco, ariano, originario dell’Asia Centrale.”10 Sfruttando l’avvenuto indebolimento delle minoranze etniche presenti nei confini della nuova repubblica turca,11 proseguì poi con una “politica di identità” nel tentativo di “turchificare” le masse,12 laddove per “turco” si intendeva il musulmano abitante dell’Anatolia, il cuore della nazione turca. I popoli musulmani non-turchi, come bosniaci, albanesi, curdi e arabi dovevano essere inglobati, mentre tutti gli altri individui dovevano scegliere tra l’assimilazione, che avrebbe consentito l’acquisizione della cittadinanza turca, e lo status di stranieri. Utilizzando la forza coesiva dell’Islam otteneva l’unione delle masse contro le minoranze che minavano l’unità della nazione, rafforzando di conseguenza nella popolazione turco-musulmana il nuovo senso di appartenenza.13 E’ chiaro come in questa fase iniziale Atatürk abbia saputo proporre al popolo un’immagine equilibrata del nascente Paese, dosando l’elemento etnico secolare con quello religioso islamico alla luce dell’urgente necessità di avvicinarsi all’Occidente. La costruzione dell’identità turca si basava proprio sulla gestione di questi contrasti i quali hanno continuato nei decenni successivi ad esistere ed a caratterizzare la società turca contemporanea nella sua duplice identità turca: occidentale e musulmana.
3.1 L’identità secolare occidentalista

Con le riforme moderniste Atatürk intendeva costruire la base per una nuova società laica ed individualista in grado di porsi con grande distacco dal passato ottomano. Concetti nuovi quale ad esempio la cittadinanza con i suoi diritti e doveri, si ponevano, infatti, in antitesi con la tradizionale struttura comunitaria della società ottomana in cui la società era suddivisa e classificata in base alla comunità religiosa di appartenenza. I rinnovamenti, attuati nel corso di alcuni anni, toccarono diversi ambiti: l’istruzione, gli affari religiosi, i codici civili e penali, la lingua e tanti altri elementi culturali.
Le antiche istituzioni del sultanato ottomano ed il califfato14 furono aboliti segnando l’inizio di una nuova epoca secolarista. Per gli affari religiosi è stato istituito un Ministero apposito i cui dirigenti, nominati dal primo ministro, si occupano della supervisione dei funzionari religiosi: in pratica l’Islam veniva considerato alla stregua di un dipartimento di Stato nel tentativo di formare una nuova classe di guide religiose alla luce della modernità.15 L’istruzione venne laicizzata svincolandola totalmente dalla religione, mentre i seminari teologici furono chiusi e rimpiazzati dall’Istituto per gli Studi Orientali, al servizio della nuova istruzione religiosa moderna, più appropriata ad uno Stato laico.16 Altri grandi stravolgimenti culturali: il richiamo alla preghiera iniziò ad essere proclamato in lingua turca;17 non veniva permessa la costruzione di nuove moschee; il calendario lunare islamico fu sostituito dal gregoriano; vi fu l’obbligo di numerare tutti gli edifici e nominare tutte le strade alla maniera europea; l’alcool fu liberalizzato e la sua produzione e vendita divennero monopolio di Stato; fu richiesto ai cittadini di usare i propri cognomi vietando i titoli ufficiali ottomani quali “pasa”, “bey” e “efendi”; la domenica fu istituita come giorno feriale al posto del venerdì musulmano e si stabilì l’adozione dell’abbigliamento occidentale.18
L’opera di secolarizzazione della società incluse anche la lingua con l’intento di purificarla dalle influenze del passato ottomano, arabo e persiano ed elevarla al livello delle altre lingue nazionali.19 L’esclusione dei termini in lingua ottomana dal vocabolario turco per fare spazio ad altri di origine europea20 provocarono un’aspra reazione da parte di letterati che accusavano un impoverimento in seguito al distacco dall’eredità linguistica ottomana. Molti termini arabi e persiani vennero re-integrati, ma la questione rimase viva fino al 1982 quando nella nuova Costituzione è stato proibito l’uso di altre lingue straniere per uso pubblico.21 Gli effetti del grande cambiamento culturale introdotto con le riforme, si manifestarono anche il campo della ricerca con l’adozione del metodo scientifico europeo. Per ciò che concerne la letteratura e l’arte, l’impronta occidentale fu impressa indelebilmente sui generi e sugli stili, specie in architettura, pittura e musica, segnando una rottura con la tradizione ottomana ed islamica. Un riformismo così completo ed assoluto non ha fatto altro che rivoluzionare la cultura tradizionale arricchendola di nuovi elementi nei quali il popolo turco ha iniziato ad identificarsi.


3.2 L’Identità islamica

L’Islam nel corso del XIX secolo ha giocato ruoli diversi nello scenario politico e sociale turco. Radicato nella cultura ottomana, è stato principalmente sfruttato da Atatürk per alimentare il senso di unità popolare e di appartenenza al Paese allo scopo di promuovere la nuova cultura patriottica.22 Successivamente le riforme secolariste hanno ridotto la religiosità a semplice credo spirituale, con l’intento di tenere fuori dall’attività politica la cultura islamica in favore di un avvicinamento a quella occidentale. Ridotto a fenomeno “privato” relegato alla coscienza individuale23 e dissociato da quelle istituzioni sociopolitiche che un tempo incarnavano quella fede e quell’identità, l’Islam ha acquisito una connotazione “turca”, più evoluta24 e disponibile a farsi permeare da un modo di vivere laico.
Analizzando il fenomeno Islam nella Turchia moderna, si può osservare come negli anni quaranta il governo abbia cambiato direzione in seguito all’insorgere di fondamentalismi, scaturiti proprio dalla mancanza di educazione religiosa. La rivalutazione dell’Islam con un ritorno alle tradizioni religiose25 è stata spiegata da studiosi stranieri e turchi come un effetto dell’espansione della libertà politica post-bellica26 specie dopo gli anni cinquanta con l’avvento del multipartitismo. In fondo la secolarizzazione kemalista della società aveva interessato soltanto le aree urbane, considerando che nel mondo rurale la cultura era rimasta pressoché immutata rispetto all’epoca precedente. Secoli di impero ottomano, fondato sull’avanzamento e difesa della fede musulmana, avevano permeato profondamente la cultura del popolo turco trasferendogli un’eredità tradizionale islamica difficilmente cancellabile. La popolazione, la maggioranza della quale fino agli ottanta possedeva un basso livello d’istruzione e risiedeva nelle aeree rurali, non si rispecchiava nell’ideale della nazione e nella propria ignoranza continuava a preservare quei valori che gli intellettuali, con la loro apertura verso l’Occidente, avevano dimenticato. La parte religiosa più resistente alla secolarizzazione, a causa soprattutto delle sue attività segrete, era quella delle sette eterodosse, le tarikat, le quali godevano di maggiori consensi fra le masse rispetto all’élite musulmana, ormai diventata una casta ereditaria. Proprio in virtù delle potenzialità politiche di questo gruppo, visto il numero dei suoi aderenti e quindi dei possibili voti elettorali, il governo da allora continua a tollerarne le attività.27
I cambiamenti sociali verificatisi negli sessanta e settanta a seguito dell’industrializzazione e dell’emigrazione dai villaggi alle città, e verso i paesi europei, hanno portato l’Islam a farsi portavoce delle nuove esigenze popolari. Poiché la cultura nazionalista veniva appresa soltanto a partire dalla scuola secondaria o spesso solo in occasione del servizio di leva, appare chiaro come le coscienze personali si formassero innanzitutto sul modello di una cultura islamica orale e locale. Coloro che da adulti si trovavano a vivere nell’ambiente urbano, si scontravano con una realtà nuova, fatta di gerarchie sociali, differenze e conflitti tali per i quali le politiche e le idee nazionaliste non fornivano soluzione.28 L’Islam è diventato di conseguenza una risorsa importante per l’orientamento personale e per l’adattamento nel contesto cittadino. Con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, i quali permisero ai turchi di sperimentare la cultura europea senza il filtro nazionalista, ebbe luogo un ulteriore sconvolgimento culturale, accompagnato da una naturale crisi d’identità prontamente fronteggiata dalle istituzioni musulmane. In sostanza una nuova identità turca musulmana ha iniziato ad emergere, tuttavia sotto nuove forme, a seconda del livello socio-economico individuale: oggi alcuni gruppi di intellettuali musulmani auspicano ad un Islam più interiore ed individuale,29 mentre altri gruppi si propongono un tipo di Islam culturale che si pone a metà fra Islam folkloristico-populista e Islam politicizzato o militante,30 quest’ultimo tendenzialmente fondamentalista. Per gestire le spinte di questi diversi movimenti, la Presidenza degli Affari Religiosi ha iniziato a propagandare una versione dell’Islam civica e nazionale che condanna l’intolleranza e l’ottusa conservazione, arrivando a valutare la religiosità come possibile produttrice di benessere sociale.31
L’Islam ha ormai fatto la sua comparsa nella cultura pubblica, oltretutto attivando una vera esplosione editoriale sul tema religioso,32 ed è entrata sempre più a far parte dell’identità turca nazionale, incentivando la popolazione a sentirsi “musulmana” in virtù dell’amor patrio33 ed a definirsi “musulmano” o “musulmano turco” prima ancora che “cittadino turco”.34


3.3 L’identità femminile turca

Nel progetto di modernizzazione kemalista si tenne notevolmente conto della percezione negativa che l’Europa aveva della cultura ottomana, pesantemente condizionata dalle concettualizzazioni orientalistiche raffiguranti immagini di donne velate all’interno degli harem. Abbracciando l’idea che l’emancipazione femminile contraddistingua le società moderne, lo Stato turco si è sforzato di promuovere un nuovo modello di donna, incentrando sulla sua figura la costruzione dell’identità turca nazionale. Le riforme secolariste hanno introdotto un modello di famiglia europeo, basato su di un diritto laico in cui elementi islamici quali la poligamica e l’impossibilità per la donna di divorziare, hanno cessato di esistere. Lo status sociale della donna turca è fondamentalmente stato elevato ed è stata stabilita l’uguaglianza e la parità di diritti tra i generi.35 Il velo, da sempre oggetto di diverse interpretazioni, venne considerato un simbolo antilaico poiché simboleggiante la subalternità delle donne, tipica delle società musulmane. In realtà all’epoca di Atatürk veniva indossato quasi esclusivamente nelle città, quindi la sua rimozione era stata più che altro una mera emancipazione esteriore la quale ha lasciato un latente bisogno di auto-identificazione femminile venuto a galla negli anni ottanta, al momento della crisi sociale e del conseguente sviluppo del movimento islamista. Per scongiurare l’insorgere di fondamentalismi religiosi e per regolare la libertà religiosa delle donne, dal 1997 l'uso del velo islamico è stato proibito negli ambienti di lavoro pubblici, inclusa l'Università, cercando di riportare in primo piano la tanto agognata laicità turca.36 La questione, però, è rimasta aperta tra secolaristi e islamisti: se per i primi la sua proibizione rappresenta il baluardo del secolarismo, per i secondi, l’ammissione del velo viene riportata come espressione dell’identità popolare. La sua attuale ostentazione da parte di una schiera di donne si potrebbe considerare come una provocazione politica, tuttavia il premier Erdoğan ha affermato che “il velo non è il simbolo di un movimento politico, ma è un diritto fondamentale”.37 Sociologi turchi, come Nilüfer Göle, ritengono che il velo non sia altro che espressione di un sentimento conflittuale nei confronti della modernità piuttosto che una dimostrazione di lealtà religiosa.38 Le donne si sono sicuramente rivelate un mezzo efficace per la diffusione dell'ideologia islamista, ma ne hanno anche preso parte attiva formando associazioni femminili di estrazione sociale mista per promuovere la pratica religiosa “cosciente” in cui, ad esempio, l’abito musulmano, un tempo utilizzato da donne segregate, veniva riproposto nel contesto urbano come sinonimo di scelta personale. D’altra parte, l’abbigliamento islamico rientra fra quei simboli religiosi che nell’era della globalizzazione economica vengono mercificati come beni di consumo in un “mercato delle identità”.39 Le politiche di identità degli anni ottanta e novanta, praticate sia dai secolaristi che dagli islamisti, erano infatti incentrate sulla dimostrazione esteriore della rispettiva autenticità culturale turca, contendendosene il primato. Si può affermare, quindi, che entrambi rappresentano due versioni del nazionalismo in cui l’abbigliamento femminile gioca un ruolo cruciale come affermazione del proprio dominio, che sia secolarista o islamico.


4. La società turca contemporanea
La società turca è stata attraversata nel corso dell’ultimo secolo da profonde trasformazioni. Se durante l’ultima fase dell’Impero Ottomano era strutturata su di una gerarchia sociale al cui vertice c’era l’aristocrazia urbana e alla base l’immenso strato delle masse rurali, con l’istituzione della Repubblica Turca, la casta dei militari riuscì a sovvertire questo assetto affermando la propria egemonia. La politica del generale Atatürk fece emergere una nuova classe dirigente nazionalista mentre le riforme moderniste degli anni trenta produssero un innalzamento dell’istruzione tale da generare lo sviluppo di un nuovo ceto di origine rurale composto da industriali, professionisti e impiegati di aziende private, culturalmente più vicini alle tradizioni islamiche rispetto a quelle occidentali. E’ il primo gruppo musulmano che riuscì a progredire socialmente grazie anche ad alcuni eventi storici favorevoli quali lo scambio di popolazioni greche e turche,40 la scomparsa della comunità armena e l’emigrazione in Israele degli ebrei. Durante l’epoca ottomana il commercio era organizzato e controllato proprio da questi gruppi etnici, perciò il loro indebolimento aprì enormi opportunità ai turchi musulmani fino ad allora rimasti fuori dall’élite ottomana al governo. Interessati alla libera impresa, tendevano ad allontanarsi ideologicamente dal riformismo nazionalista e chiaramente rappresentavano una minaccia per la tradizionale egemonia dei militari. Quest’ultimi hanno segnato la storia della Turchia moderna con la loro azione in difesa dei valori del kemalismo, ma non hanno potuto impedire quella mobilità sociale che ha preso piede a partire dagli cinquanta e non si è ancora arrestata.
Con le nuove riforme degli anni ottanta seguite al colpo di Stato militare, il dominio monolitico dell’élite nazionalista ha lasciato gradualmente spazio ad un sempre maggiore pluralismo, sopraffatto soprattutto dalla rivale classe media in ascesa. La nuova gerarchia sociale non si basava più sulle origini aristocratiche, ma si rispecchiava nei diversi livelli di adesione alla modernità.41 Un altro fenomeno che ha determinato un grande cambiamento culturale e sociale è stata la massiccia emigrazione dai villaggi alle città seguita alla proliferazione di nuove imprese nell’ambito dell’industrializzazione. L’elevata domanda di lavoro e di abitazioni non riusciva ad essere soddisfatta dando così origine al fenomeno dei gecekondu, quartieri costituiti da baracche o costruzioni abusive.42 In questi nuovi spazi si diffuse una particolare forma di cultura popolare, manifestata soprattutto attraverso la musica, qualificata come arabesk. Tramite questo genere musicale, giudicato portatore di valori retrogradi dall’élite nazionalista poiché mescola il tradizionale con il moderno, è emersa quella che viene definita come l’espressione dell’identità turca contemporanea “incastrata fra una modernità materiale e un tradizionalismo incapace di rispondere alle nuove esigenze”.43 La grossa fetta di popolazione rurale che, con un proprio bagaglio culturale, si era spostata dalle campagne alle città aveva contribuito alla ruralizzazione dei contesti urbani44 e, allo stesso tempo, la cultura cittadina è penetrata nelle campagne attraverso i mass-media. Ne risulta una complessità di forme culturali eterogenee, ma soprattutto una spontanea modernizzazione della società nel suo insieme. In tal modo, inoltre, l’antica divisione sociale tra aree rurali tradizionali e aree urbane moderne ha iniziato a scomparire del tutto grazie alla riduzione della distanza psicologica fra i due ambienti. Anche il rientro dei lavoratori turchi dalla Germania dopo gli anni settanta si tradusse in un grande dinamismo sociale, o più probabilmente in un significativo esempio di modernizzazione. Il know-how acquisito permise migliori opportunità lavorative in Turchia nonché occasione di investire il capitale guadagnato all’estero, in nuove attività economiche, contribuendo all’espandersi della classe media.
Alla trasformazione culturale in atto corrispose anche un cambiamento in senso estetico dell’ambiente urbano. Mentre il secolarismo dei primi anni della Repubblica esternava la propria ideologia decorando i luoghi pubblici con statue di Atatürk, negli anni ottanta sull’onda del sentimento laico è stata messa in atto un’evidente occidentalizzazione delle città: furono costruite sul modello americano grandi centri commerciali e gallerie, luoghi che idealmente avrebbero condotto la Turchia in un futuro di civilizzazione e prosperità, ma etichettati dagli islamisti come “templi del consumismo”. L’identità turca si stava formando su di un modello esogeno, laico-occidentale, appartenente al mondo delle élite le quali, di conseguenza, venivano recepite dalle masse come gruppo di potere alla stregua di coloni interni.45 Questa fase critica era riprodotta chiaramente dai mass-media dove ogni forma di identità diventava manifestabile nella misura in cui poteva stimolare nuovi bisogni.46 Nelle grandi città che dominano la nazione turca come Istanbul, Ankara, Izmir, Adana e Bursa, la popolazione è oggi organizzata in un folto numero di gruppi sociali in competizione, formatisi non solo in base all’etnia o alla religione, ma anche ad altri fattori come ad esempio l’occupazione lavorativa o gli interessi.47 Ciò dimostra l’apertura e la pluralità della società turca in cui ogni cittadino può fare riferimento a diversi gruppi. Il divario tra coloro che sostengono l’ideologia della occidentalizzazione e coloro che auspicano ad una società meno secolarizzata appare tuttora notevole. Il consolidamento della classe medio-bassa dei salariati, tradizionalista in apparenza, viene giudicata infatti da molti modernisti come una degradazione culturale piuttosto che un esempio di mobilità sociale.48
In conclusione si può affermare che il modernismo apportato da Atatürk sia consistito in una rivoluzione imposta dall’alto sulle masse e quindi probabilmente incapace di generare una profonda e sentita rivoluzione culturale. L’acquisizione della nuova identità nazionale e occidentalista da parte del popolo nel corso del XX secolo non ha impedito che l’eredità culturale musulmana continuasse a fare parte dell’identità turca. La sfida culturale e sociale che la Turchia si trova ad affrontare nell’affermazione di una propria identità nazionale potrebbe consistere oggi nella ricerca di un modello di sviluppo endogeno che raggiunga il delicato equilibrio fra secolarismo e tradizione.


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1 Fonte: CIA- The world Factbook, Luglio 2010 (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/tu.html).
3 Agenzia indipendente fondata nel 2004, la quale nel 2008 ha pubblicato un rapporto sui gruppi etnici in Turchia in conformità con le indicazioni del Consiglio Nazionale di Sicurezza turco.
4 Esistono inoltre ancora altre varietà regionali con particolari dialetti e aspetti culturali.
5 Campanini M., Storia del medioriente, Il Mulino, Bologna 2006, p. 250.
6 Bellingeri G., Turchia oggi, il Ponte, Bologna 2002, p.60.
7 Idem, p. 60.
8 Lapidus I. M., Storia delle società islamiche, Einaudi, Torino 1995, p. 54-61.

9 Lewis B., The emerge of modern Turkey, Oxford University Press, London 1961, p. 352.

10 Idem, p. 353.
11 A seguito della guerra d’indipendenza, i turchi musulmani erano arrivati a comporre il 97.3% della popolazione totale, agevolando così questo processo di omogeneizzazione etnica e culturale sostenuto da Atatürk (Shaw S.J., Kural E. S., History of the Ottoman Empire and modern Turkey, Cambridge Univeristy Press, Cambridge 1977, p. 375).
12 “In questo paese non c’è più posto per i recalcitranti, per quelli che non volendo confondersi con la massa turca desiderano di avere in comune con essa la sola terra sui cui vivono e non altri legami di affari. A costoro si nega il diritto di essere cittadini turchi e li si qualifica “soggetti” che debbono alle leggi repubblicane la liberazione”. (Zingarelli I., Il risveglio dell’Islam, Fratelli Treves Editori, Milano 1928, p. 156).
13 Saraçgil A., Il maschio camaleonte, Mondadori, 2001, p. 150.
14 Il Califfato è la carica di successore del Profeta Mohammad che prevede un potere politico-religioso esteso a tutto il mondo islamico. Gli ottomani avevano mantenuto questa istituzione attraverso il sultanato.
15 Lewis B., Op. Cit, p. 407.
16 Le sette musulmane eterodosse dei sufi furono bandite e i loro beni confiscati.
17 Questa riforma si scontrò con un tale dissenso popolare che durò solo un paio d’anni. Oggi per le preghiere ed il richiamo alla preghiera si usa l’arabo.
18 Shaw S.J., Kural E. S., History of the Ottoman Empire and modern Turkey, Cambridge Univeristy Press, Cambridge 1977, pp. 385-386.
19 Atatürk girò l’intero paese per diffondere la nuova lingua, dando in persona lezioni soprattutto nei village dove la percentuale di analfabetismo arrivava al quasi al 100% (Pitman P.M., Turkey: a country study, Department of Army, Washington 1988, p. 104).
20 Nel 1945 la Costituzione fu tradotta in turco moderno.
21 Il referendum sulla riforma costituzionale avvenuto nel 12 settembre 2010 potrebbe modificare questa legge.
22 Come risultato, infatti, nella prima fase indipendentista un quinto dei membri della prima Grande Assemblea Nazionale apparteneva proprio alla classe degli uomini di religione, gli ulema (Lewis B., Op. Cit., p. 386).
23 Saraçgil A., Op. Cit., p. 166.
24 Daabla B. A., Ideology polity and society in modern Turkey, Centre of West Asian Studies Aligarh Muslim University Aligarh, Aligarh 1986, pp.23-30
25 L’insegnamento della religione islamica fu reintrodotto nel 1949 nelle scuole e venne accettata la Facoltà di Teologia ad Ankara, sotto il controllo del Ministero dell’Educazione. Altri segnali di questa nuova tendenza si potevano notare nella costruzione di nuove moschee, nelle scritte religiose in lettere arabe nei luoghi pubblici e nella diffusione di libri religiosi. Gli ordini sufi divennero di nuovo legali, ma sopravvissero sotto stretto controllo del governo il quale puntò soprattutto sulla loro spettacolarizzazione, ad esempio pubblicizzandoli come forma di folklore turco.
26 Pitman P.M., Op. Cit., p. 129.
27 White J. B., Islamist mobilization in Turkey: a study in vernacular politics, University of Washington Press, Seattle 2002, p. 108.
28 Meeker M. E., Social practice and political culture in the Turkish Republic, Isis Press, Istanbul 2004, p. 250.
29 Idem, p. 255.
30 Kandiyoti D., Saktanber A., Fragments of culture: the everyday of modern Turkey, Tauris, London 2002, p. 207.
31 In una pubblicazione del 2006 la Presidenza afferma che l’Islam turco è uno dei più democratici tra i paesi musulmani grazie alla sua apertura al dialogo interreligioso ed alla sua tolleranza verso le diverse espressioni dell’Islam stesso. (Bardakoglu A., Religion and society: new perspectives from Turkey, Diyanet Isleri Baskanligi, Ankara 2006, pp. 80-109).
32 Meeker M. E., Op. Cit, p. 251.
33 Lapidus I. M., Op. Cit., p. 371.
34 White J. B, Op. Cit., p. 108.
35 Nel 1934 venne riconosciuto il diritto al voto da parte delle donne e l’anno successivo fu stabilito l’accesso femminile alle cariche parlamentari.
36 Dai pronunciamenti della Corte di giustizia europea si è evinto che il “portare il velo” non rientra fra i diritti umani, dunque il vietarlo non comporta alcuna lesione di quei diritti (Tibi B., Con il velo in Europa: la grande sfida della Turchia, Salerno editrice, Roma 2008, p.59).
37 Tibi B., Op. Cit., p.71.
38 Idem, p. 108.
39 Kandiyoti D., Saktanber A., Op. Cit., p. 248.
40 Tra il 1923 e il 1930 per effetto del Trattato di Losanna, i musulmani greci furono deportati in Turchia, mentre i turchi cristiano-ortodossi furono spostati in Grecia (Lewis B., Op. Cit., p.349).
41 Saraçgil A., Op. Cit., 2001, p. 177.
42 Tollerate per via della resistenza dei suoi abitanti, a partire dagli anni sessanta furono soggetti ad una politica di riqualificazione del territorio con la costruzione di case popolari.
43 Saraçgil A., Op. Cit., p. 297.
44 Fino al 1950 l’82% della popolazione turca viveva nei villaggi, mentre nel 1990 il 56,3% risiedeva nelle zone urbane. Istanbul passò dal milione di abitanti nel 1950 a otto milioni nel 1995, con un’entrata media di 120 mila immigrati all’anno (Shorter F.C., The crisis of population knowledge in Turkey, in “New perspectives on Turkey”, vol. 12, Spring 1995, pp. 1-31).
45 Saraçgil A., Op. Cit, 2001, p. 289.
46 Idem, p. 306.
47 Pitman P.M., Op. Cit., 142.


48 Idem, p. 135.